Johnny Winter @ Crossroads – 19 05 2014
(Galleia Fotografica a cura di Stefano Panaro)
Tanto tanto tempo fa, in un locale tanto tanto lontano (da Roma) c’era il concerto di Johnny Winter, il veterano del blues bianco. Ed io c’ero!!!
E non sono da solo, oltre a Jessica, compagna di tutti i report, ci sono Danilo Cartia, banjoista e chitarrista bluegrass di fama internazionale (oltre che mio insegnante di chitarra) e Gustav e Sonia, una coppia di ragazzi svedesi conosciuta stamattina a Rione Monti: cercavano di capire come arrivare qua con i mezzi, se poco poco siete di Roma capirete bene quante poche speranze avevano. Ed io, ambasciatore del blues nella vostra vita di tutti i giorni, potevo lasciarli a mangiare il gelato al Colosseo mentre Johnny Winter, il veterano del blues bianco, suonava?
No.
A bordo del Fiat Millennium Panda, carico come un uovo, ci siamo armati di speranze e siamo arrivati al Crossroads. Gustav e Sonia hanno capito solo una volta arrivati che in autobus sarebbe stato improponibile. L’avevo detto io, ai due giovani svedesi! Un grazie speciale alla Millennium Panda, che ci porta in giro per tutto l’occidente.
Un bel locale: pulito, spazioso, nuovo, spazi ben definiti, sia per stare in piedi sia per stare seduti, zona cucina molto ben presentata, ottimo parco luci, palco spazioso, buon impianto audio, americane robuste, personale gentile e disponibile, 5 stelle e tanto di cappello. Da riprovare!
Il mixer sembra la console di comando dell’Enterprise, giusto un paio di frigoriferi di outboard, insomma: tra il blues sul palco e la regia, stasera il crossroads è un enorme parco giochi per me e per tutti quelli come me!
Purtroppo la band di apertura aveva quasi finito, sono le 22:00 quando mi mettono il timbro all’entrata. Fatto sta che ci accolgono con un blues fantastico, seguito dalla loro versione di “Voodoo Child” da far rizzare…i capelli. Fantastici. Volevo salire a cantare con loro, ma c’è un report da fare e non voglio farmi cacciare prima di Johnny Winter.
Il cambio palco dura un po’, ma senza cambio palco! Non si muove paglia, forse Johnny si sta facendo attendere…nessun concerto, in fondo, inizia puntuale, diciamolo! Si inizia con con un video, che poi si ferma, poi ricomicia. Per quel che ne capisco è il trailer di un documentario su Johnny Winter, dai produttori di quello su Lemmy dei Motorhead: a questo punto deduco che la collana sia qualcosa tipo “artisti rovinati dagli eccessi”.
I musicisti sul palco iniziano a cannone e io già mi sono innamorato: Jessica, mi dispiace, ma è lo shuffle suonato a cannone l’unico amore della mia vita!!!
Grande assolo del secondo chitarrista, brano strumentale, fanno paura per quanto sono bravi. Mi sento ispirato.
Un urlo incita la folla per l’entrata di Johnny, che entra calmissimo. Entra e si cambia musica, con un cambio di tempo difficilissimo, che manco con il nastro rallentato si fa così preciso, girano su un blues più southern dove Johnny si esprime come meglio sa fare e…finale!
Quando Johnny parla la prima volta sto scrivendo, ma dalla sua voce alzo la testa cercando Lemmy. Ah ok, è Johnny, il veterano etc.
La scaletta parte con “Johnny (Winter) Be Good”, lento, sempre durante l’intro, poi accelera e la porta a velocità, sei un mito! Il pezzo suonato supera, nella mia classifica, l’esecuzione di Micheal J. Fox in Ritorno al Futuro, che pensavo insuperabile per livello di “craziness”.
I suoni sono fantastici, il rullante è uno dei più carichi della storia del locale, la cassa è definitissima, il basso è il top, basso ma super definito. La seconda chitarra ha un suono molto warm, tipico di ampli marshall o simili vintage, la storia fatta valvola insomma. La chitarra di Johnny per ora è un po’ timidina, aspetto a descriverla. Ovviamente bel suono, molto essenziale. La sua voce, non ha eguali, tutto merito del timbro e dell’alcool, come per i migliori timbri di questo genere.
Dopo “Johnny Be Good” andiamo avanti con un pattern standard rock di batteria, aspetto per capire di che brano stiamo parlando. (Fischio dell’impianto). Ma che ce ne frega che brano è, il blues è il blues, anche quando sbiancato dalla neve invernale di Johnny.
L’impianto è assolutamente fedele a quello che volevano dire sia la band sia il tecnico, forse un po’ troppo chiaro, personalmente avrei scurito il tutto per dare un sound più vintage, ma è solo gusto personale e anzi penso che, alla luce di una serie di fattori, le scelte fatte dietro i fader del mixer stasera siano assolutamente inopinabili.
Johnny è un po’ spento, un po’ dagli anni, un po’ da tutto. Si riaccenderà in serata? Ma si Johnny, che ce frega, “bastano ‘n par de corde nove e poi girà tutto er mondo”. (Fischio dell’impianto)
E il terzo pezzo è country!!O meglio, bluegrass? Chiedo all’esperto.
“Danilo, sapresti dare una definizione a quello che stiamo ascoltando?”
“Country rock, Alfredo”
“Grazie maestro”
La cosa divertente è che è apparso quando avevo il dubbio e si è allontanato subito dopo. Un’apparizione? Tipo “Il Banjoista di Medjugorie”.
Il pezzo è “Got My Mojo Working” di Muddy Waters, cosa che ho dedotto dal ritornello. Johnny, e dille due parole che qui ci sono dei reporter! Che esecuzione, comunque, tra un po’ davvero mi appare l’immagine dell’arcangelo Muddy sul palco. Io vorrei dire che sono precisi, pieni di feel, ma come si fa? E’ scontato!!
Ecco, questo forse è degno di nota: la band non è statica nel suonare, seppure questo genere è “mangiabile all’insalata” da un bravo studente di basso/batteria/chitarra. Ma allora, se è così scontato, perché solo Johnny Winter, Joe Bonamassa e colleghi riempono i locali? Perché se oggi devo comprare un disco non compro quello di qualcun altro? Perché quello che li rende unici è il “feel”: il feel si compone del tocco, dell’accento su quel colpo e non sull’altro, dell’appoggiatura su quella nota speciale, di quel fuori scala.. Non si sa cosa sia il feel, si sa solo che alcuni musicisti ce l’hanno e altri no, e il pubblico lo nota subito.
Il buon vecchio Muddy ci provó coniando il termine “Mojo”, che era proprio questo charm, questo carisma che alcuni personaggi, più o meno artisti, hanno o non hanno. Beh, questi hanno un mojo che arriva a Viterbo, Johnny anche Firenze Nord. E il pubblico lo sa.
Il prossimo pezzo è un bluesone mid-tempo, si stanno tutti sbizzarrendo alla grande, evvai! E non contenti, quello dopo è ancora più lento, un vero e proprio slow dove lo spazio è tutto per la voce di Johnny, che si è scaldata come una stufetta a natale. Questi artisti datati sono come camini: ci mettono un po’ a prendere fuoco, ma una volta preso…
Devo dire che questo slow, del quale continuo a ignorare il nome, sta scaldando un po’ tutti, Johnny per primo, le sue mani hanno finalmente iniziato a girare. E vale anche per il pubblico, i single stanno immaginando la loro amata, le coppie stanno tutte pomiciando, anche in tre, quattro, questo blues sembra dire “si, c’è del Johnny Winter anche per te”, senza limiti, potrebbe suonare fino a domani e la situazione non cambierebbe. E mentre lo scrivo è finito, ma è stato difficile uscirne, anche dopo.
Ancora rock ‘n roll, l’unica cosa che poteva svegliarci a pieno da quel sogno d’amore slow. Ma un rock ‘n roll speciale, tutto Winter. Il batterista è promosso a “Batterista più Simpatico ed Espressivo 2014”, il chitarrista numero due ha molto feel oltre che molta tecnica, sta gestendo praticamente il 60% della serata.
Ancora rock ‘n roll alla Johnny Winter’s Night, il veterano del blues bianco, e poi segue..rock ‘n roll!!! Ahhh yess Johnny, ci piaci così!
“Jumpin Jack Flash” in forma quasi irriconoscibile e…migliore!! Ritmata, coinvolgente, le doppie voci del ritornello sono andate a farsi un giro, ma chi se ne frega, stiamo spaccando stasera!
Abbiamo poi ancora un mid-tempo rock ‘n roll, secondo me questo concerto durerà fino a domani mattina. Molto sostenuto, ben sostenuto, questo pezzo fa da tappeto all’alternanza Johnny/seconda chitarra per dei soli fantastici, ogni tanto spezzati dalla voce di Johnny. Secondo me, tra poco, arriva il momento dei gran finali…ma questa è solo la mia opinione. (Finisce il brano, inizia l’altro).
Effettivamente non ci sono andato molto lontano, il pezzo successivo va molto sul country rock, non so se stiamo parlando di un inizio di chiusura, ma ci starebbe tutto. Penso che noi della nuova generazione, almeno qui in zona, non siamo più abituati ai live più lunghi di un’ora.. Male, molto male. Dovremmo riportare in auge le antiche usanze, facciamo sudare a questi musicisti il loro cachet! E sudiamocelo noi quando suoniamo!!
Qualcuno incita la folla ad urlare a Johnny che vogliono di più. Inizia con un solo. E quando inizia il brano io mi innamoro, ma mi innamoro di tutto e di tutti, UOMINI STATEMI LONTANO. Lo shuffle a bpm è ottimale, accompagnato da un guanciale di basso consistente ma non invadente, condito da un giro tipicamente blues-rock-zozzo, un solo di prima scelta e una voce sporca come un barile vuoto di whiskey… beh, vi sfido a non avere allucinazioni a carattere mistico-storico che inneggiano all’amore libero e libidinoso.
Facendo un attimo di digressione su questo tempo, così bello, voglio far notare un paio di cose: lo shuffle è un tempo, un ritmo; tipicamente, in Italia diciamo “swingato”, tecnicamente si articola su gli accenti, dove su 3 note quella di centro non c’è, sostituita da una pausa; immaginate il battito cardiaco, ma più camminato, più swing. Immaginate Sweet Home Chicago, ecco lo shuffle. Beh, la particolaritá che notavo è che il rullante (solidità del brano) è regolare, sempre quadrato, sempre in 4, idem per il charleston (metronomo della band), mentre la cassa (anima trascinante della band) segue perfettamente il ritmo shuffle. È la cassa che, nell’applicazione pratica di questo ritmo sulla batteria, ci da la sensazione di “shuffle”, ci trascina, ci porta via con se. Il tempo cammina “sotto” e rimane stabile “sopra”, una dualità singolare, la quale va a sommarsi all’altra dualità che rende il blues tale, ovvero l’uso di melodie “minori” su armonie “maggiori”. Che genere fantastico… dagli schiavi americani a Johnny Winter e la sua band, il blues è rimasto tale, e continua a suonare. Il blues è la massima espressione del concetto che se un pezzo suona, suona anche solo cantandolo, senza farti sentire la mancanza di nulla.
L’originalità è importante, non la chitarra potente. (Visto che sono due ore che lo ascoltiamo mi sembrava pertinente parlarne).
Il prossimo pezzo è un rock ‘n roll blues decisamente più spinto e sostenuto, Johnny si sta dando alla pazza gioia su questo brano, sembra essere tornato un giovincello (che sia questo il segreto?). Una danza folle e scatenata quella che ci stanno regalando, un baccanale a tempo di rock ‘n roll!
Poi inaspettatamente Jhonny se ne va, un po’ in sordina, seppure tra gli applausi e le richieste di un bis. Gli irriducibili restano ancora un bel po’ nella speranza che riappaia, ma il buon vecchio Johnny Winter, il veterano del blues bianco, è ormai un po’ datato, e posso solo capirlo se ha avuto un momento di stanchezza. Così, accompagnato da un roadie, che lo aiuta ad alzarsi e lo accompagna in camerino, la leggenda si congeda, senza bis e senza troppe manfrine, lasciando solo il batterista che scatta una foto al pubblico dalla batteria e saluta tutti con un “grazie”, in italiano.
Musica di sottofondo, noi 5 torniamo alla macchina con un cornetto per uno (si, al Crossroads vendono cornetti caldi dopo lo show) e un mix tra euforia e malinconia.
Grazie della serata Johnny, a questo punto ti direi grazie della giornata, perché se non fosse stato per te sarebbe stato solo il mio ordinario lunedì da studente.
Hai ancora molto blues da dare, a presto.
Buona serata a voi lettori e rock ‘n roll, sempre.