King Crimson @ Teatro Verdi - 8 11 2016Live Report Live Report Internazionali 

King Crimson @ Teatro Verdi – 08 11 2016

I King Crimson in Italia: è LA NOTIZIA, per chi conosce i rapporti che l’occhialuto sperimentatore che usa la chitarra ha con il pubblico del nostro Paese. Delle 8 date programmate, tra il 5 e il 15 di novembre a Milano, Firenze, Roma e Torino, i nostri inviati Jacopo Muneratti  e Ariele Cartocci sono andati, (per se stessi) per Voi, affezionati lettori di Rock by Wild, a quella di Firenze, l’8 novembre al Teatro Verdi. L’occasione era anche così importante che abbiamo preparato ben due report, il primo che state per leggere è di Jacopo Muneratti. L’altro, un poco più tecnico e critico di Ariele Cartoccilo trovate qui.

King Crimson – Il live report di Jacopo Muneratti

Donald, tra qualche giorno vado a vedere i King Crimson
Bene, poi me lo fai un reportage?
Ma ti rendi conto di chi stiamo parlando? Cosa può rimanermi da dire dopo un concerto dei King Crimson?
La sera stessa niente. Poi ci dormi su e vedrai che il giorno dopo saprai organizzarti un po’ meglio

(nota di Donald McHeyre: Jacopo ci teneva a mettere questo articolo sotto SPOILER a beneficio di quei 2 o 3 che non conoscessero ancora le Set List di questo tour dei King Crimson: certi collaboratori andrebbero bastonati con una carota)

Donald si sbagliava. Sono passati giorni e tuttora ho l’impressione che qualsiasi cosa io possa tentare di dire rischi di scadere nella pura retorica. Intendiamoci, per me Robert Fripp e i King Crimson sono delle leggende assolute. Certo, non ho una grande conoscenza degli album post “Three of a Perfect Pair“, ma tutto ciò che è stato prodotto nel lasso di tempo precedente è stato ascoltato, studiato e consumato in maniera a dir poco ossessiva. Fripp, poi, è uno di quei personaggi di cui, nel corso del tempo, ho letto e trattato fino alla nausea, a tal punto da diventarmi quasi impossibile pensare a lui come qualcuno che esiste sul serio e che è ancora rintracciabile sul Pianeta Terra. Per farvela breve, invitarmi a descrivere un concerto dei King Crimson è come chiedere “com’è andata?” ad un credente che è appena riuscito ad avere un colloquio con San Francesco. Cosa volete che vi risponda?

In ogni caso, bisogna cercare di essere obbiettivi: leggende o non leggende, un concerto della famosa lineup di metà anni ’70 (Fripp, Wetton, Cross e Bruford) avrebbe avuto di sicuro un impatto ancora più devastante su di me ma, in ogni caso, l’effetto rimane comunque enorme. Inoltre, per la prima volta in tutta la carriera del Re Cremisi, questo tour pesca da tutte le ere della discografia; per chi non lo sapesse, i King Crimson, più che una band, sono un organico capitanato da, appunto, quella grandissima leggenda chitarristica che è Robert Fripp e ogni formazione tende ad ignorare quasi completamente il repertorio delle altre. Sospetto che uno dei motivi di questa scelta sia anche dovuto al fatto che, nonostante l’età anagrafica del gruppo, tra il pubblico annoverano moltissimi appassionati ed estimatori che non hanno fatto in tempo ad assistere ad un loro concerto degli anni d’oro e, di conseguenza, a sentire esecuzioni live di alcuni capolavori. L’occhialuto chitarrista, comunque, sicuramente non lo ammetterebbe nemmeno sotto tortura, preferendo un dignitoso Seppuku.

Sicuramente sto facendo una gran confusione, quindi cerchiamo di partire dal principio. La data a cui partecipo è la prima di due consecutive al Teatro Verdi di Firenze e, i miei compagni di viaggio sono i Labìr, un trio della zona in cui mi trovo (basso Veneto) che presenta un repertorio folk/prog rock. Con “compagni di viaggio” intendo dire letteralmente: l’impresa di raggiungere Firenze da Rovigo la faccio insieme a loro. Durante il tragitto, che dura qualche ora, c‘è di sicuro molta eccitazione ma nessuno di noi si sta ancora rendendo conto del tutto di cosa sta per assistere anche perché abbiamo tutti, di proposito, evitato qualsiasi anteprima o qualsiasi scaletta: sappiamo che faranno molti pezzi che conosciamo, ma non sappiamo quali.

Dopo un viaggio relativamente tranquillo arriviamo in tempo per il ritiro dei biglietti. Qua scopro che, avendo acquistato il mio in un momento successivo a quello degli altri, mi ritroverò separato da loro e non di poco, dato che il mio settore si trova ad un piano inferiore. Poco dopo, mi renderò conto che mi è andata molto bene: nonostante io mi trovi in alto e non vicino al palco, la mia visuale è perfetta, mi trovo in primo piano nella balconata e l’acustica del posto è tale da non farmi perdere nemmeno una mezza nota di quello che viene suonato. Mentre ci accingiamo a salire le scale, vari membri del servizio d’ordine ci chiedono di non usare i cellulari e di non fare foto, su richiesta espressa di Fripp che minaccia di andarsene nel caso qualcuno trasgredisca: le uniche foto concesse durante il concerto, saranno alla fine, quando il bassista Tony Levin, appassionato di fotografia, tirerà fuori la sua macchina fotografica, scattandone una al pubblico. Da questo punto di vista, la serata procederà in maniera abbastanza liscia, a parte i soliti irriducibili che tireranno fuori il cellulare per controllare Facebook, beccandosi uno spot luminoso in faccia, e un temerario che, durante il bis, deciderà di tirare fuori una Reflex con tanto di flash e comincerà a scattare foto al palco e al pubblico, venendo cacciato dopo circa 15 secondi; non mi stupirei se nel corso dei prossimi giorni venisse rinvenuto un cadavere in fondo all’Arno legato per il collo ad una macchina fotografica ripiena di cemento, e con la scritta KC incisa in fronte.

Dopo circa un’oretta trascorsa ascoltando dei “Soundscape” diffusi dall’impianto del Teatro intervallati da una voce che ci ricorda di non fare foto o registrare, finalmente le luci si spengono e i musicisti salgono sul palco. Oltre al Maestro di Cerimonie, questa formazione è un composto di facce nuove e conosciute. Delle vecchie leve abbiamo il fiatista Mel Collins, che non suonava nei King Crimson dagli anni ’70, il bassista Tony Levin, ormai una garanzia dal 1980 e i batteristi Pat Mastellotto e Gavin Harrison (storico membro dei Porcupine Tree), che aveva partecipato al tour precedente, nel 2008. I nuovi adepti del regno Cremisi sono il cantante e chitarrista Jakko Jakzsyk, storico turnista che ha suonato con mezzo mondo e che in realtà si chiama Michael Lee Curran, ma che ha deciso di darsi questo pseudonimo in modo da far sbagliare di continuo noi povere anime che dobbiamo scrivere articoli, e il tastierista/terzo batterista Jeremy Stacey (in sostituzione di Bill Rieflin in questo tour 2016). Di per sé è già abbastanza inusuale che ci siano tre batteristi ma, per di più, sono anche disposti in primo piano sul palco, contrariamente da quanto ci si aspetterebbe. Fripp, come al solito, è seduto in disparte in un angolo del palco ma, per la prima volta dagli anni ’70, suona anche le tastiere oltre alla chitarra.

King Crimson tour 2016

Bene, questo è il momento in cui dovrei descrivervi cos’è successo e, francamente, non ne sono per niente in grado: diciamo solo che, quando dopo una breve introduzione batteristica, il doppio trio più uno si è lanciato nella splendida “Pictures of a City” dall’album “In The Wake of Poseidon” (1970), i brividi che mi sono venuti sono stati così alti che ho seriamente pensato che sarei potuto svenire. Da lì in poi sono seguiti una manciata di vecchi classici da troppo tempo non suonati dal vivo, come “Sailor’s Tale“, “Epitaph“, “Easy Money“, “The Talking Drum” e “Larks’ Tongues in Aspic, part 2“. Di queste, la più notevole è stata senza dubbio “Fracture“, un pezzo estremamente difficile da eseguire, soprattutto alla chitarra, che il settantenne Fripp è riuscito ad affrontare quasi senza problemi, incartandosi solo durante mezza delle settanta note che deve suonare nel giro di 5 secondi. Non escludo, però, che l’abbia fatto apposta: tanto per ricordarci che è pur sempre un essere umano e, come tale, è doppiamente superiore a noialtri comuni mortali.

Dopo una pausa di circa 10 minuti, nella quale finalmente il pubblico può soddisfare il desiderio compulsivo di controllare facebook e fare persino un paio di foto al palco (cosa di cui, peraltro, mi rendo colpevole), inizia il secondo Set. L’introduzione è una vera sorpresa, dato che è un estratto dalla suite “Lizard“: un mastodontico pezzo del 1970 mai eseguito dal vivo e che Fripp ha più volte dichiarato di non amare. Questa parte di concerto è stata prevalentemente dedicata a pezzi più recenti, come “A Scarcity of Miracles“, “The ConstruKtion of Light” e “Level Five” anche se abbiamo comunque avuto occasione di ascoltare l’intramontabile “In The Court of the Crimson King“. La chiusura e, in questo contesto, non poteva essere altrimenti, è stata affidata a “Starless“, un vero e proprio capolavoro della musica moderna che, durante i suoi 12 minuti, ha lasciato gli spettatori con il fiato sospeso. Ovviamente, prima di andarsene, sono tornati per il bis di “21st Century Schizoid Man“, durante la quale Gavin Harrison ha fatto un assolo che ha pesantemente umiliato qualsiasi aspirante batterista presente in sala.

La voce di Jakzsyk che, personalmente non ho apprezzato molto nelle recenti pubblicazioni, manca della poesia di quella di Greg Lake, della personalità di quella di Adrian Belew e della versatilità di quella di John Wetton ma, in ogni caso, si è rivelata molto piacevole da sentire dal vivo ed è decisamente degna di rappresentare il repertorio e la sua performance chitarristica è stata eccellente. Tony Levin… beh, Levin è stato Levin: ha tirato fuori lo Stick e le Funky Fingers e ha suonato in maniera divina; niente di nuovo, ma spettacolare in ogni caso. Mel Collins ha avuto un ruolo centrale nella performance, eseguendo alla lettera le sue vecchie parti di fiato e aggiungendo il suo contributo nei pezzi dove non aveva suonato originariamente. I tre batteristi si sono spartiti le loro parti in maniera equa anche se questo significa che ogni sezione andava eseguita alla lettera, con pochissimo margine improvvisativo. Per quanto riguarda Robert Fripp, credo che ogni commento sia superfluo: musicalmente non è invecchiato nemmeno di un giorno ed è ancora in grado di suonare perfettamente la propria musica, anche quella più difficile, senza sbavature. Sia Fripp che Stacey hanno suonato le tastiere, usando specificamente i suoni da mellotron, riuscendo così a ricreare in maniera perfettamente degna le atmosfere dei primi anni. La presenza scenica dei sette personaggi era quasi del tutto nulla: nessuno di loro si è comportato da bestia da palco, anche se Tony Levin è capace di esserlo, ma succedevano talmente tante cose che decidere dove posare gli occhi era sempre molto arduo. A tutto ciò, aggiungiamo che, oltre ad avere un’acustica perfetta, il Teatro Verdi è anche un posto incredibilmente poetico ed esteticamente si sposava in maniera perfetta alla musica eseguita.

Ovviamente, la perfezione per essere tale, deve avere anche qualche difetto e, in effetti, la serata ne ha avuti. Prima di tutto: melodizzare “Indiscipline“, brano originariamente recitato, non è stato per niente una buona idea; un po’ perché il pezzo perde molta della sua atmosfera, un po’ perché la nuova melodia vocale non è poi così bella, inoltre la parte recitata si poteva affidarla a Tony Levin, considerando che la esegue sempre così (usando ogni volta la lingua del posto) nei concerti dei suoi Stickmen. In secondo luogo, personalmente, mi è dispiaciuto non aver sentito “Larks’ Tongues in Aspic, part 1” eseguita il giorno prima e il giorno dopo rispetto a questa data: avrei sacrificato volentieri “The Letters” e “Peace” due pezzi per i quali non impazzisco. In compenso, altri brani che nelle loro versioni in studio non mi hanno mai impressionato più di tanto (“Cirkus” e “A Scarcity of Miracles“) dal vivo hanno fatto tutt’altro effetto. Promuovo anche a pieni voti l’inedito “Radical Action/Meltdown” che non conoscevo prima di quella sera ma che mi è sembrato veramente ben fatto e ben integrato col resto della scaletta.

Al termine del concerto, i sorrisi inebetiti di entusiasmo sono impossibili da quantificare. Ognuno di noi è conscio di aver assistito ad un evento storico: irripetibile forse per noi, ma ripetuto ogni sera da questo brillante organico. Siamo talmente contenti che non ce ne frega niente né del fatto che finiremo per tornare a casa verso le 4 del mattino, né che ci sono le elezioni di Presidenza degli Stati Uniti e che, qualsiasi risultato esca, qualcuno ci rimetterà: abbiamo visto i King Crimson e tutto il resto non esiste e non è importante.

P.S.
Chiedo ufficialmente scusa alla ragazza che ho deriso mentalmente per aver chiesto a gran voce la cover di “Heroes” di David Bowie durante il bis: il giorno dopo, nello stesso teatro, l’hanno eseguita sul serio!

 

Setlist – King Crimson – 8 novembre 2016

Set 1:
1-Introduction: Walk On: pre registrato

2-Hell Hounds of Krim
3-Pictures of a City
4-Cirkus
5- Letters
6-Sailor’s Tale
7-Epitaph
8-Fracture
9-Fairy Dust
10-Peace: An End
11-Easy Money
12-Radical Action I
13-Meltdown
14-The Talking Drum
15-Larks’ Tongues in Aspic, Part II

Set 2:
1-The Battle of Glass Tears – Part I: Dawn Song (estratto dalla suite Lizard)
2-Indiscipline
3-The Court of the Crimson King
4-Red
5-The ConstruKction of Light
6-A Scarcity of Miracles
7-Radical Action II
8-Level Five
9-Starless

Encore:
1-Banshee Legs Bell Hassle
2-21st Century Schizoid Man

Line Up – King Crimson – Tour 2016

Pat Mastelotto: batteria e percussioni
Jeremy Stacey: batteria e tastiere
Gavin Harrison: batteria (e dice tutto con quella)
Robert Fripp: chitarra, soundscapes, tastiere
Jakko Jakszyk: chitarra, voce, flauto
Tony Levin: basso elettrico e stick
Mel Collins: sax e flauto

La foto di copertina all’articolo è stata scattata da Jacopo Muneratti a sprezzo del pericolo.

 

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