Pain Of Salvation + Echotime + Avenue Lie @ Crossroads – 12 12 2015
Pain of Salvation, l’ormai storica progressive band svedese si è esibita il 12 dicembre al CROSSroads di Roma. In apertura altri due gruppi in rappresentanza del progressive italiano moderno, Echotime ed Avenue Lie.
Sono anni ormai che il termine progressive metal viene associato al virtuosismo musicale, nonché a degli esagerati sfoggi di tecnica dello strumento. Band come gli americani Dream Theater, che spesso fungono da portabandiera di tale movimento, hanno, disco dopo disco, rafforzato questa convinzione.
Oh, posate torce e forconi! Non fraintendete, non vuole essere una critica negativa!
Chi scrive ha in casa un altarino con tutta – o quasi – la discografia del Teatro Del Sogno, ci si prostra davanti frustandosi tutta le sere e s’è emozionato vedendoli dal vivo più volte… con tanto di cilicio sulla coscia.
Gettando uno sguardo ai fam(igerati)osi anni ’70, e quindi alle radici della musica progressiva, si può però notare che le cose erano diverse. Tra le formazioni più innovative dell’epoca, come Genesis, Yes e King Crimson, militavano anche musicisti autodidatti che, pur cimentandosi in brani complessi e arzigogolati, se posti di fronte a uno spartito, avrebbero al massimo cercato d’unire semiminime e crome con la matita tipo giochino da Settimana Enigmistica.
D’allora le cose sono cambiate, e buona parte degli artisti progressivi hanno trovato il giusto equilibrio tra innovazioni compositive e uso spasmodico di tecnica musicale.
Gli svedesi Pain Of Salvation sono uno dei risultati di questo connubio, in salsa heavy.
Prima di parlare di loro, anzi più precisamente dello spettacolo da intervento chirurgico che ci hanno regalato il 12 dicembre scorso al CrossRoads di Roma, è doveroso – e sottolineo DOVER e OSO – spendere qualche riga sui gruppi nostrani che hanno avuto l’arduo compito d’aprire le danze di suddetto show.
Echotime
S’inizia a porte appena aperte con i giovani urbinati Echotime, che in una cinquantina di minuti ci spalmano in faccia e nelle orecchie il loro esordio discografico datato 2013, il concept album “Genuine“, eseguendolo integralmente senza praticamente fermarsi a riprendere fiato.
Diciotto tracce. Un alternarsi più o meno regolare di veri e propri brani e intermezzi strumentali con fantasiosi campionamenti e tanta energia.
Non fanno prigionieri.
A prescindere dal fatto che si possa o meno apprezzare l’album – e personalmente, lo apprezzo eccome – il quintetto ha doti che bisognerebbe essere sia audio che videolesi per non riconoscergli. Innanzitutto buona presenza scenica, qualità da non sottovalutare considerando che nella storia del rock/metal progressivo abbondano casi di stoccafissi totalmente estraniati dal mondo perché immersi nello strumento quando sono on stage.
Sveglia gente, è pur sempre un rock show!
Per fortuna gli Echotime sembrano ricordarselo: ci guardano, ci incitano a seguirli con mani e voce, si muovono ritmicamente con la loro musica, agitano le chiome, agitano gli strumenti, agitano gli animi e alla fine ti ringraziano per averli supportati. In sostanza ti spettinano, ma con gentilezza.
Bravi ragazzi, l’umiltà innanzitutto.
Suddetti contatti col pubblico vengono per lo più creati dal vocalist Alex Kage, membro fondatore assieme al batterista Face Fazi. Voce potente e asta del microfono fluorescente; no sul serio, fantastiche le lucine cangianti all’interno dell’asta! Trovo siano i piccoli dettagli a personalizzare l’impatto visivo d’una band.
No, i costumi da girasole antropomorfo servono più che altro a rendersi più evidenti d’un elefante dentro una 500, ma questa è un’altra storia, grazie Peter Gabriel.
La voce di Kage è potente quanto lo sono le ritmiche di Face, anche se a differenza di quest’ultimo, il primo, quando sforza troppo tende ad andare un pelino fuori tono, ma glielo perdoniamo. D’altronde, chi sono io per giudicare? Il mese scorso ho ricevuto dodici querele per quando canto sotto la doccia.
Parlando degli altri componenti, la pagnotta se la guadagnano egregiamente: ogni brano ha ottimi groove e parti soliste ben inserite, essenziali e che – importantissimo – non provocano sonnolenza. Capita di frequente che i soli strumentali piacciano più a chi li esegue che a chi li ascolta, ma non è questo il caso. Notevoli quindi le schitarrate di Nick Pandolfi e le linee di basso di Chris Bartolini, che esegue un ottimo tapping in “The Chemical Dawn“, tredicesima traccia dell’album e quindi della scaletta.
L’ottima resa dello spettacolo è anche merito della precisione del tastierista Smiths Fabbri, addetto ai campionamenti e agli intermezzi strumentali, che assieme a Chris e Nick, è entrato in formazione da neanche un anno. Neanche un anno, ragazzi!
Già mi fate ‘sto show? Parlate con uno che in un anno è riuscito a malapena ha imparare “La Canzone Del Sole” con la chitarra, e si sentiva figo.
Insomma, gli Echotime sono da tenere d’occhio! Anche perché, come ho appreso durante una chiacchierata con la band e col loro manager Marc Magnus, hanno già pronto un secondo album in studio ansioso di trovare un’etichetta che lo lanci, nonché un terzo in lavorazione, che potrebbe chiudere la trilogia iniziata con “Genuine“.
Concludendo: supportate questa band, cari musicomani che leggete queste righe. Come perché?
Perché sono genuini, autentici, proprio come il loro album, e credo con fermezza questa sia la miglior qualità che si possa trovare in un musicista – e in una persona.
Echotime – live set list
Inizio esibizione: 20:45
In The Cage
The Choice
Running To Lead-town
Advertisement
Show Your Face On TV
A Road To Rule Square
The March
Chant Of Abbey District
Breaking The Prayers
Frames Inside The Lab
Echoes
Genuine 10:10 (A New Cure)
The Chemical Dawn
In Rebels’ Hand
Clash At Velasco District
Fragile Pantomime
An Epic Tragedy
The Question
Fine esibizione: 21:35
Avenue Lie
Dopo un rapido – ma non troppo, il pubblico vuole prendere da bere! – cambio palco è il momento degli Avenue Lie, quartetto milanese che accompagna i Pain Of Salvation sia in questa che nella seconda tappa italiana del tour, al Circolo Magnolia di Milano.
Con questi ragazzi rimaniamo in tema progressivo, ma con delle piccole differenze rispetto alla band precedente.
Prima e più evidente, la line-up: non cinque ma quattro, niente tastiera bensì due chitarre, una delle quali ottimamente suonata dal cantante e frontman Valerio Castiglioni, co-fondatore del progetto insieme al compare William Battiston, che siede dietro le pelli.
Anche qui sono voce e batteria a tirar su la baracca, notate?
Questa coppia lascia sempre il segno, proprio come c’insegna la storia del rock: Lennon e McCartney, Jagger e Richards, Page e Plant.
Come dite? Nessuna di queste era una coppia voce e batteria? Oh, per il progressive metal italiano funziona, non rompete! Funziona senza dubbio anzi, visto e considerato che la prima fatica in studio degli Avenue Lie, “Genesi“, totalmente autoprodotta e fresca di rilascio avvenuto il 23 ottobre di quest’anno, ha visto in sala d’incisione i soli Valerio e William. Il primo per quanto riguarda le parti vocali, tutte le chitarre e il basso, il secondo, logicamente, per quanto concerne le percussioni tout court.
Risultando difficile esibirsi su un palco in due – se qualcuno nomina i White Stripes lo defenestro! Puoi restare un duo per tutta la carriera, ma sforni album e te ne stai a casa, come fanno i Darkthrone – nei primi mesi del 2015 s’uniscono al progetto Marco e Matteo Mariani, rispettivamente chitarrista e bassista, accomunati dalla bravura esecutiva, dalla voglia di suonare, dallo stesso cognome, ma comunque non imparentati.
Altra peculiarità che li differenzia dalla prima band è un sound davvero massiccio e distorto, dovuto al corpulento drumming di William e alla presenza delle due chitarre. Nonostante quanto appena affermato, il brano di tutta la setlist (otto tracce su undici del disco) che più mi conquista è la title-track acustica “Genesi“, oserei dire perfetta nell’arrangiamento.
Il terzo e, credo, ultimo punto che contraddistingue i quattro musicisti di Milano sia dagli Echotime che dagli stessi Pain Of Salvation è l’attitudine, il loro modo all’infuori della musica, di calcare il palco. Un tantino meno coinvolgenti dei colleghi di Urbino, un po’ meno “atmosferici” dei Salvation – perdonatemi, sto davvero esagerato coi parallelismi – sono rilassati, si scambiano sorrisini e battute, scherzano con il pubblico e… lanciano profilattici col loro logo!
Ok, fermate tutto!
Un gruppo progressive metal che regala profilattici signature dal palco?!
Certi numeri te li aspetti da una glam band, magari da quei volgari buontemponi degli Steel Panther, non da artisti di musica progressiva!
Non ci siamo, cari ragazzi… ma dato che non sono riuscito a prendere un contraccettivo omaggio, a fine set mi fiondo al banco merchandise e lo compro. Avete vinto Avenue Lie, getto la spugna.
Tornando seri, perlomeno sul finale: scegliete pure se supportare o meno questi ragazzi, ascoltare o meno la loro musica, farveli piacere o disprezzateli, ma una band che sa come non prendersi sul serio ha, a parer mio, fatto il primo decisivo passo per diventare a tutti gli effetti una band professionale. Tanto di cappello boys, auguroni per tutto.
Avenue Lie – live set list
Inizio esibizione: 21:55
Blow
Stranger Within
Beyond The Lie
Dare To Fall
Endless Beauty
Genesi
Erotechmania
The Best Damn Night
Fine esibizione: 22:40
Pain Of Salvation
Dulcis in fundo, il momento è infine giunto.
Stavolta il cambio palco è veramente estenuante, al Dolore Della Salvezza sembra piaccia farsi attendere.
Dopo quelli che sembrano minuti interminabili le luci si spengono di colpo e gli altoparlanti sparano, colpendoci al cuore, “Remedy Lane“, strumentale dell’omonimo album, obiettivamente uno dei più riusciti dei nostri svedesi preferiti. Non appena nel buio s’intravedono i componenti del gruppo posizionarsi sul palco s’alza un coro d’acclamazioni generali, che esplode in un fragoroso boato quando Daniel Gildenlöw, vera e propria mente creativa dei Pain Of Salvation e unico membro superstite di tutti i cambi formazione, fa il suo ingresso in scena salutando il pubblico.
Molto educato Daniel, adesso ridacci le coronarie, per cortesia.
Iniziano quest’operazione a cuore aperto con “Of Two Beginnings“, apertura del sopraccitato “Remedy Lane“. Capiamo che l’anestesia non funziona come dovrebbe nel momento in cui, neanche due minuti e mezzo dopo, “Ending Theme” e il suo ritornello da pianto greco ci punzecchiano ben bene le ghiandole lacrimali. E lacrime sono.
Tante lacrime signore e signori, per tutti i gusti: dolci, amare, salate.
Mentre asciughiamo il pavimento e pensiamo che i nostri chirurghi emotivi siano (senza pietà) in gran forma, l’intro dell’eclettica “Fandango” ci coglie impreparati. Siamo già al quarto brano proveniente da “Remedy Lane“, che vogliano per caso suonarcelo tutto, così da far cessare una volta per tutte il nostro battito cardiaco? Quest’assurdo sospetto viene in parte confermato dalla successiva “A Trace Of Blood“, e ormai è inutile che vi stia a ribadire da quale album provenga o quale sia stata la nostra reazione.
Con la tachicardia e il laghetto di lacrime che ormai c’arriva alle caviglie, ci armiamo di Kleenex e Salvavita Beghelli pronti a ricevere l’ennesimo attacco portato da un brano di “Remedy Lane“, e invece parte “Ashes“.
Si, quella di “The Perfect Element“, quale sennò? Altro capolavoro.
Premettendo che il videoclip di quest’ultima m’ha sempre abbastanza inquietato, sentirla dal vivo mi ha proprio steso. Ringrazio chiunque mi abbia raccolto da terra, altrimenti sarei di certo affogato nel mio stesso pianto.
Mi rincuoro immediatamente, pronto ad asciugare come si deve occhi e pavimento, perché è il turno di “Linoleum” da “Road Salt One“.
Insieme al successivo “Road Salt Two“, questo fa parte degli album del nuovo corso musicale della band, intrapreso a partire dalla seconda metà degli anni 2000, virato più sul progressive rock classico e sull’art rock. Inutile dire che, come ogni cambio di stile d’ogni artista, c’è chi apprezza e chi disprezza.
Indovinate da quale parte mi schiero io?
Penso coglierò l’occasione per asciugarmi anche le scarpe, tanto ho quasi cinque minuti buoni.
Tralasciando un attimo l’ironia, sono costretto ad ammettere che questa versione live di “Linoleum” non mi dispiace, Daniel sa vender bene il suo prodotto e introduce il riff di chitarra invogliando il pubblico a far sentire la propria voce, e tutti, me compreso, l’accontentano. I suoni son parecchio più energici della versione su disco che, come avrete intuito, non mi ha mai detto granché. Diamine, se guardate il video promozionale, il buon Daniel sembra quasi la brutta – o bella? – copia di Dave Grohl nei primi anni dei Foo Fighters.
Arriva poi “To The Shoreline” del già nominato “Road Salt Two“. Godibile, con qualche richiamo a Ennio Morricone, ma il pavimento è proprio asciutto ormai. Sto accennando un mezzo sbadiglio quando SBAM m’arriva sui denti “!(Foreword)”, apertura del primo lavoro in studio dei nostri, “Entropia“.
Chi se l’aspettava una batosta del genere? Adesso si che ci capiamo.
Sembra quasi che qualcuno dal palco mi abbia colto in fallo con la bocca semi-aperta, gli occhi socchiusi e abbia esclamato:
« Svelti ragazzi, altrimenti quel rompipalle lì in fondo penserà che in Svezia di buono abbiamo solo l’IKEA! »
Scenario molto poco realistico poiché, con grande gioia dei fotografi stampa, si vede poco o nulla a causa del settaggio luci che gli stessi Pain Of Salvation richiedono durante i loro spettacoli. D’accordissimo col voler creare atmosfera e trasmettere malinconia, per carità, se però fossi entrato a concerto iniziato sarei immediatamente fuggito spaventato dalla luminosità da loculo.
Tento invano di cimentarmi anch’io in qualche scatto mentre la band allenta il tiro con “1979“, di nuovo da “Road Salt Two“, eseguendola totalmente priva di percussioni. Nonostante anche questa traccia su disco non mi abbia mai del tutto convinto, questa versione ancora più soft crea una bella atmosfera in sede live… atmosfera distrutta nel finale in maniera barbarica dallo strillare di qualcuno non propriamente sobrio nei pressi del bancone del bar. Vola qualche insulto dal pubblico e tutto torna alla normalità con “Rope Ends“.
“Remedy Lane“, again. L’intervento ricomincia.
Perfetta esecuzione (al bisturi) alla chitarra di Ragnar Zolberg, ultimo arrivo nella famiglia Salvation, famoso per non sbagliare una nota e non sorridere mai. Ma tant’è, deve regalarci un buon concerto, mica fare il testimonial della Mentadent, perciò avanti Ragnar, sfoggia ancora fiero la tua tecnica impeccabile e la tua canotta dei Death per noi.
Ci viene propinato dal dottor Gildenlöw qualche divertente aneddoto da sala operatoria, astuto stratagemma per distrarci da quella parte d’intervento chiamata “Chain Sling“, che ci ricorda – come se dopo “Rope Ends” fosse necessario – che su “Remedy Lane” ci sono ancora ben sette tracce disposte a farci lacrimare.
Pianto che in effetti dura meno di quattro minuti, dato che si prosegue con “No Way“. Pur provenendo dal primo e, dal sottoscritto, tanto odiato “Road Salt“, l’ho sempre trovata gradevole, con le sue tinte a tratti progressive e a tratti bluesegianti. Versi di sconforto accompagnano l’annuncio che il prossimo brano concluderà l’operazione, e neanche nel migliore dei modi, perché per quanto “The Physics Of Gridlock” sia – sempre in my opinion – l’estratto più valido del secondo “Road Salt“, lascia comunque l’amaro in bocca. Ci consola, ma neanche troppo, l’ottima prova del talentuoso (infermiere) bassista Gustaf Hielm, attivo, prima di collaborare con Daniel & co., nei policlinici Meshuggah e Dark Funeral. Capito, si? Mica pizza e IKEA.
L’equipe medica ci abbandona sul lettino a petto aperto e timidamente ci domandiamo: « Non mancano forse quelle cosine chiamate punti di sutura? »
Iniziamo allora a richiamare a gran voce i nostri dottori emozionali che, ci mettono un bel po’, ma progressivamente – in tutti i sensi! – tornano in sala.
Tra i primi a rientrare, il (cardiologo) tastierista Daniel Karlsson ci offre il tappeto perfetto per “Falling“, strumentale di “The Perferct Element“, che di solito, su disco e dal vivo, introduce… la title-track! Il resto del gruppo riemerge dai camerini e la esegue.
Ormai il CrossRoads è una piscina comunale di lacrime salate.
Prima di concludere, in maniera definitiva stavolta, i nostri ne approfittano per fare gli auguri al loro fonico che compie gli anni, e parte l’applauso di rito. Sinceri auguri carissimo, e grazie per il gran lavoro con i volumi, un po’ meno per quello con le luci.
Mi guardo intorno cercando un salvagente libero per non annegare, conscio più che mai che dopo cotanto show, il finale dovrà rasentare l’epicità. Perdo totalmente le speranze quando parte “Beyond The Pale“.
Ho già detto quanto “Remedy Lane” sia un capolavoro da lacrime vere?
Mi salvo in extremis aggrappandomi alla consapevolezza che non l’hanno suonato tutto, ma poco c’è mancato.
Complimenti dottore, l’operazione è andata a buon fine, ora possiamo mandare a casa i pazienti sereni e soddisfatti.
Traendo brevemente le conclusioni e cercando d’accantonare per un attimo il lato fan a favore di quello di live reporter – più o meno – obiettivo, mi sento di ribadire in parte quanto scritto nell’introduzione: i Pain Of Salvation riescono ancora, dopo quasi 25 anni di carriera e con le dovute pecche dei non-automi musicali, a raggiungere un sano equilibrio tra valenti idee compositive e tecnica strumentale, senza per questo trascurare l’emotività che li ha praticamente sempre distinti e le energiche schitarrate metalliche che, per chi scrive, non guastano mai.
Un enorme grazie a tutto lo staff del CrossRoads e alla eRocks Production per aver ospitato e organizzato quest’evento.
Pain Of Salvation – set list
Inizio esibizione: 23:05
Remedy Lane
Of Two Beginnings
Ending Theme
Fandango
A Trace Of Blood
Ashes
Linoleum
To The Shoreline
! (Foreword)
1979
Rope Ends
Chain Sling
No Way
The Physics Of Gridlock
Encore:
Falling
The Perfect Element
Beyond The Pale
Fine concerto: 01:05