Recensione di Dream The Electric Sleep – “Beneath The Dark Wide Sky”
Gli americani Dream The Electric Sleep (nome vagamente ispirato al titolo del romanzo “Do Androids Dream of Electric Sheep?” di Philip K. Dick) rilasciano il loro terzo album, “Beneath The Dark Wide Sky” (Mutiny Records/OMN), titolo ispirato al lavoro fotografico a sfondo sociale di Dorothea Lange negli anni ’30.
Dopo due album, “Lost And Gone Forever” (2011) e “Heretics” (2014), entrambi ben accolti da pubblico e critica e auto-prodotti, il power trio decide di affidarsi al confronto con il più esperto Nick Raskulinecz (Foo Fighters, Mastodon, Rush, and Alice in Chains) il quale gli destruttura completamente le nuove composizioni e aggiunge un tocco di sonorità più uniforme e coerente ma non necessariamente più vario, come vedremo.
I primi due album, dal 2011 al 2014 mostravano una crescita professionale ma anche una maggiore definizione delle influenze, palesi o nascoste, dei Dream The Electric Sleep … un prog, psichedelico che guarda non poco al passato ma pesantemente immerso nel shoegaze, l’alternative rock britannico degli anni ’80. Con “Beneath The Dark Wide Sky“, il focus si sposta decisamente ancor di più su queste ultime sonorità, accorciando anche la durata media dei brani, rispetto ai lavori precedenti. La “cura” di una produzione, professionale ed esterna, accentua le loro caratteristiche più tendenti alla forma canzone ma trova un buon compromesso tra immediatezza e sofisticatezza. Quello che non manca in “Beneath The Dark Wide Sky” è il suonare su tempi non scontati e l’uso di arrangiamento stratificati che dona ai brani un tocco di cataclismatica drammaticità, senza mai sconfinare nel caos gratuito.
Purtroppo quello che non manca all’album è anche una deriva fin troppo evidente da altri stili e band, con nomi e cognomi quasi in bella vista (ma pazienza, l’originalità non è al potere nel rock di inizio 21° secolo) e una scelta di sonorità troppo uguale da brano a brano, che avrebbe senso solo ad una condizione: che si consideri l’album come una lunga suite, destrutturata, scomposta, ricomposta e ristrutturata come una raccolta di 11 “song“.
In effetti ad una riflessione più attenta dell’intero album, sorge il dubbio che sia proprio così.
Prendiamo ad esempio i primi 4 brani: L’iniziale “Drift” e la successiva buona “Let The Light Flood In” fanno sentire subito la destrutturazione e ricostruzione di cui parlavamo prima: la struttura dei brani sembra più complessa di quella che in realtà è, ma sortisce l’effetto di essere immediatamente fruibile e allo stesso tempo facendo percepire che c’è qualcosa di più, lavorando molto su arrangiamenti “verticali” più che “orizzontali”.
Con la terza traccia, “Flight“, però ci accorgiamo che è cambiato brano solo perché c’è dello stacco tra questo ed il precedente, come se fosse la parte finale di un brano più lungo – strutturato in più movimenti (che non accade necessariamente solo in una suite chilometrica), tipico del prog – parte che concentra un refrain “risolutivo” tutto nel finale, per poi chiudere in fade out, dopo un momento di “inciso” quieto e d’atmosfera: l’ultima parte di “Let The Light Flood In“.
Lo strumentale “We Who Blackout The Sun“, con toni più cupi e l’incedere minaccioso, viene dopo “Flight” ma si poteva anche collocarla prima, da qualche parte tra i primi due brani, magari proprio come stacco strumentale tra i due brani precedenti.
Insomma l’impressione è che invece di proporre brani più lunghi e articolati, con una riduzione del numero di tracce, si sia preferito scomporre le varie sezioni di questi brani, per farci singole tracce. In questo modo aumentano le royalty ma le tracce sembrano troppo uguali le une alle altre e la scelta di una tavolozza di colori sonori, non molto dissimile per tutto l’album, non aiuta a discostarsi da questa impressione.
Il consiglio che si può dare, ma poi ognuno si farà la propria esperienza di ascolto, è di ascoltarsi i singoli brani separatamente, oppure, come già detto, di pensarlo ad un unico brano lungo quanto tutto l’album.
D’altronde il mondo moderno, degli mp3, Spotify, Youtube ecc, ha in qualche modo ucciso l’album, come concezione artistica e musicale coesa, tornando ai tempi in cui il “singolo” era il veicolo dominante del mercato musicale.
Dream The Electric Sleep – “Beneath The Dark Wide Sky”
Band: Dream The Electric Sleep
Album: “Beneath The Dark Wide Sky”
Data Pubblicazione: 22 luglio 2016
Etichetta: Mutiny Records/OMN
Produzione: Nick Raskulinecz.
Tracklist – “Beneath The Dark Wide Sky”
1-Drift
2-Let The Light Flood In
3-Flight
4-We Who Blackout The Sun
5-Hanging By Time
6-Culling The Herd
7-The Lst Psalm To Silence
8-The Good Night Sky
9-Headlight
10-Black Wind
11-All Good Things
Line Up – “Beneath The Dark Wide Sky”
Matt Page: chitarre, tastiere, voce
Joey Waters: batteria, voce
Chris Tackett: basso elettrico
“Beneath The Dark Wide Sky” – disponibile in CD fisico, Vinile e digitale, anche in edizioni limitate con T-shirt – link