Frank Zappa - Freak Out - back coverRecensioni Recensioni Internazionali 

Recensione di Frank Zappa – “Freak Out!” retrospettiva

Freak Out!” di Frank Zappa Mothers of Invention compie 50 anni.

Pochi album sono così apparentemente facili da ascoltare, ma così difficili da spiegare.
Spiegare l’importanza avuta per la genesi del rock. Per l’enorme influenza avuta su tanti bei nomi del rock star system, oggi tutti più o meno famosi e gettonati dell’album.
Spiegare un album che sembra un debutto ma che è in realtà, nel 1966, il punto di arrivo per una carriera già quasi decennale. L’ultima possibilità per un giovane genio, figlio di immigrati, per imporre il suo pensiero ad una società troppo distratta dalla “rivoluzione”, e la sua arte ad un’altra società, parallela alla prima, quella dei padri dei “figli” della rivoluzione. Incompreso dai primi, che ne fanno ingannevolmente uno dei loro manifesti; ignorato dai secondi, incapaci di capirne la feroce iconoclastia e l’assoluto genio musicale.
A metà strada tra le contrapposte ideologie delle due generazioni più divise della storia moderna, “Freak Out!” si pone come una parodia.
Un catalogo di parodie. Un catalogo riassuntivo di quello che è stata la musica popolare americana fino a quel momento. Da lì in poi la musica non sarà più popolare, leggera, pesante, classica, jazz, folk, alta o bassa. Sarà soltanto, musica. Totale, autosufficiente e soprattutto “zappiana”.

Per celebrare i 50 anni del primo album di Frank Zappa and The Mothers of Invention, uscito il 27 giugno 1966, Jacopo Muneratti ce ne racconta i travagliati retroscena, le incomprensioni e le lotte avvenute per realizzare “Freak Out!“, album di esordio di una band vittima di un equivoco increscioso da parte dei discografici e che nella sua povertà e capacità di arrangiarsi è ancora oggi uno dei motori ispiratori della creatività più vera e produttiva.

Donald McHeyre

Making of “Freak Out!”

Frank Zappa - The MOFOFreak Out!” è un album dei Mothers of Invention. Il primo album del gruppo, per la precisione, che si inserì prepotentemente nell’ottimismo e nell’aria solare di quegli anni con un doppio LP (cosa abbastanza rara all’epoca) pieno di cinismo, derisione e generale delusione verso la musica e la società contemporanea. Il disco venne pubblicato il 27 giugno 1966 in America, come doppio vinile, e nel marzo 1967 in Europa, come singolo. Ma prima di arrivare a questo dobbiamo cominciare la nostra narrazione da qualche tempo più indietro, precisamente tre anni prima, il 1963.
In quegli anni, Frank Zappa gestiva uno studio a Cucamonga, nella contea di San Bernardino, assieme a Paul Buff, musicista geniale, un po’ pazzo, che si era auto fabbricato, tra le altre cose, un sistema di registrazione a cinque piste. In questo periodo, i due lavorano spesso con musicisti locali oppure formano gruppi (la cui carriera durava esclusivamente la stampa di un 45 giri), suonando spesso tutti gli strumenti.

Tra questi musicisti, c’era un giovane cantante, il cui senso dell’umorismo era molto compatibile con quello di Zappa e di Buff: Ray Collins. Durante quel periodo, Zappa e Collins andavano per i locali esibendosi come duo comico con vari nomi (Sin City Boys, Loeb and Leopold) eseguendo parodie dal testo scurrile di varie canzoni popolari e in voga in quegli anni. Sebbene Ray non fosse una presenza fissa nei 45 giri che uscivano dallo Studio Z, il suo contributo era netto e perfettamente riconoscibile nei dischi in cui partecipava. Uno dei brani più interessanti di quel periodo è “The World’s Greatest Sinner“, lato B di “How’s Your Bird?“, 45 giri uscito a nome Baby Ray and the Ferns (i soliti Buff, Zappa e Collins) pubblicato l’8 aprile 1963, un blues che era derivato da uno dei temi della colonna sonora dell’omonimo film del 1961 di cui un giovanissimo Zappa aveva scritto le partiture.

Facciamo ora un salto temporale di un paio di anni e arriviamo quindi alla primavera del 1965. Dopo essere stato imbrogliato da un ispettore di polizia in borghese che gli aveva commissionato un audiocassetta pornografica al solo scopo di poterlo arrestare, Frank Zappa era appena uscito di prigione. Vi aveva trascorso solo 10 giorni, ma decisamente troppi per i suoi gusti. Inoltre, il mitico Studio Z era stato chiuso e Frank era ufficialmente disoccupato. Tra le varie persone con cui era in contatto c’era anche il già citato Ray Collins, il quale, nel frattempo, suonava in un gruppo chiamato Soul Giants. Il caso volle che il gruppo stesse cercando un chitarrista e che Zappa e i Soul Giants avessero molti interessi in comune.

Zappa e i Soul Giants

I Soul Giants nacquero nei primissimi anni ’60, quando il bassista Roy Estrada e il sassofonista Dave Coronado formarono un gruppo chiamato The Viscounts. Quando il batterista originale (di cui, purtroppo, pare non ci sia arrivato il nome) lasciò la band, Roy si imbatté nell’indiano Jimmy Carl Black, un batterista rhythm’n’blues locale. Con Black nella formazione e Ray Hunt alla chitarra, The Viscounts diventarono ufficialmente i Soul Giants.

Tra i vari ingaggi il gruppo ne ebbe uno ad un club ad Inglevood chiamato The Broadside. Al gestore il gruppo piacque, ma disse che era disposto a farli suonare solo se avessero preso Ray Collins come cantante, cosa che fecero subito.
La formazione si consolidò quindi con Roy Estrada al basso, Jimmy Carl Black alla batteria, Ray Collins alla voce solista, Dave Coronado al sassofono e Ray Hunt alla chitarra. Poco più tardi scoppiò un diverbio molto pesante tra Hunt e Collins, che sfociò addirittura in una rissa. Dopo questo episodio, il chitarrista lasciò il gruppo, e qua entra in scena il nostro Frank Zappa. Grazie alla sua creatività e al suo carisma e all’apertura mentale del gruppo, Frank divenne di colpo il leader e il principale songwriter. Successivamente, però, Coronado decise che in fin dei conti, la visione avanguardistica della musica che aveva Zappa non faceva per lui, così usci dal gruppo, senza fare più ritorno.
Dopo essere stati anche Captain Glasspack & His Magic Mufflers, i Soul Giants diventano ufficialmente i The Mothers il 9 Maggio del 1965.
A questo punto, con questa formazione, cominciano ad esibirsi come ospiti fissi al Broadside.

Frank Zappa e i The Mothers

Tuttavia, il successo tarda ad arrivare. Non avrebbe potuto essere altrimenti: dopotutto il gruppo non aveva ancora nemmeno un singolo. Dopo qualche occasione perduta (una partecipazione al film “Mondo Hollywood” in seguito tagliata in postproduzione), nell’ottobre del 1965 i Mothers si decidono ad assumere un manager: Herbie Cohen, che resterà con Zappa fino alla metà degli anni ’70. Serve, inoltre, un secondo chitarrista. Frank è incapace di suonare e cantare contemporaneamente, un handicap non da poco, visto che spesso la parte vocale solista del brano era affidata alla sua voce in armonia con quella di Ray. Nel novembre dello stesso anno viene quindi reclutato Henry Vestine, lo stesso Henry Vestine che a fine anni ’60 farà la sua fama con i Canned Heat. Con questa formazione (ricordiamola: Frank Zappa voce e chitarra, Ray Collins voce e armonica, Henry Vestine chitarra solista, Roy Estrada al basso e Jimmy Carl Black alla batteria), i Mothers finalmente entrano in studio di registrazione e registrano alcuni provini, probabilmente con l’intenzione di sottoporli a qualche casa discografica. I brani registrati appariranno su “Freak Out!” (a parte un embrionale versione di “Plastic People“), ma in arrangiamenti spesso molto diversi, come nel caso di “I Ain’t Got No Heart“.
Purtroppo questi provini non servono a niente e svaniscono nell’oscurità per oltre 40 anni, prima di essere pubblicati nel 2006 nel CD postumo “Joe’s Corsage“. Comunque, durante un esibizione al Whiskey A Go Go, i Mothers vengono notati dal produttore Tom Wilson. Tenete bene a mente questo nome perché presto sarà molto rilevante nella nostra storia.

Intanto Vestine si stufa di essere trattato come un membro di seconda mano e di restare nell’ombra di Zappa e lascia il gruppo nelle prime settimane del 1966. Vengono fatti altri tentativi per reclutare un secondo chitarrista, ma falliscono. Così, rimanendo di nuovo in quattro, i Mothers tornano di nuovo in studio per registrare un secondo set di demo, stavolta con solo un chitarrista. Purtroppo anche questi provini avranno la stessa sorte dei precedenti.

Genesi di “Freak Out!”

Come se non bastasse, nei mesi successivi Ray Collins si stufa di attendere il successo e lascia il gruppo e altri tentativi di trovare secondi chitarristi falliscono miseramente. Tuttavia, quando le cose sembrano più disperate, Collins torna nel gruppo (tra il ’66 e il ’70 lascerà e tornerà diverse altre volte). e finalmente viene trovato un altro chitarrista, l’ottimo Elliot Ingber che però non darà il massimo delle sue potenzialità registrando con i Mothers. Sarà questa la formazione che registrerà “Freak Out!“: Frank Zappa voce e chitarra, Ray Collins voce e armonica, Elliot Ingber alla chitarra, Roy Estrada al basso e Jimmy Carl Black alla batteria.
Finalmente, il primo di marzo del 1966 i Mothers firmano un contratto con la Verve/MGM e otto giorni dopo registrano la loro prima session in studio, prodotta da Tom Wilson. La formazione che esegue i brani è quella sopra indicata, ma Wilson assume anche alcuni session man per suonare parti complementari, come ad esempio quelle di piano o di percussioni.
Il primo brano ad essere registrato per il disco è “Anyway The Wind Blows” con il suo motivetto “carino” e ballabile. L’ascolto tranquillizza i big dello show business, che pensano di trovarsi di fronte a un normale gruppo rhythm’n’blues. Se fossero rimasti ad ascoltare anche il terzo brano suonato in quella session, la disturbante ed ipnotica “Who Are The Brain Police?” forse “Freak Out!” non sarebbe stato Freak Out

Nel giro di poco più di una settimana il disco viene quasi del tutto completato, comprese le sovraincisioni dei vari sessionman, i quali, spesso, restano strabiliati dalla complessità delle partiture che questo giovane “freak” italo-americano mostra loro. Interessante notare come Zappa si fosse preparato una lista di più di 30 titoli di brani da registrare nel corso delle session. Molto spesso i titoli sono gli stessi che poi sarebbero finiti sul disco, ma altri vedranno la luce solo molto tempo dopo (“The Air“, “Dog Breath“, “My Guitar Wants To Kill Your Mama“, “Jelly Roll Gum Drop“), e in mezzo c’è pure qualche titolo tutt’ora inedito. In molti casi ciò che oggi ci rimane è solo il titolo del brano (bene ricordarne due: il buffo “I Cried When I Died” e un brano intitolato “Love Will Make You Lose Your Mind“, registrato solo nel 1970 durante le session di “Chunga’s Revenge“, ma rimasto inutilizzato anche in quell’occasione e di cui, probabilmente, oggi abbiamo perso i nastri). Altre volte abbiamo addirittura il testo (una specie di parodia al flower power dell’epoca intitolata “Tore To The Core“), ma almeno in un caso ci è pervenuto un brano completo, registrato, mixato e scartato, rimasto sconosciuto fino alla sua pubblicazione nel 2006 nel cofanetto “The Making Of Freak Out Project/Object“. Si tratta di “Groupie Bang Bang“.
Il motivo che spinse i Mothers a registrare questo brano è sconosciuto: la musica è “Not Fade Away” di Buddy Holly nell’arrangiamento degli Stones (e quindi, avrebbero avuto bisogno di permessi e di pagamenti per poterla pubblicare) e il testo è incredibilmente volgare, scurrile e, in alcuni casi, addirittura denigratorio verso alcuni personaggi dello show business che all’epoca erano vivi, vegeti e operanti. La diffusione di un brano del genere era semplicemente impossibile, e anche nel caso i Mothers ci fossero riusciti, sarebbe stato un suicidio commerciale: sono facilmente immaginabili le cause legali e la buona dose di astio che avrebbe (giustamente) provocato questo brano. Tuttavia, i Mothers lo registrarono lo stesso e ci risulta che sia l’unico brano completo partorito da quelle session che sia rimasto inutilizzato.

Arriviamo così alla session del 12 marzo. Si tratta della seduta di registrazione più importante, storicamente almeno. Ad eccezione di “Trouble Every Day“, gran parte di quanto accade sul secondo LP di “Freak Out!” è stato infatti registrato quella sera. Per questa particolare session, i Mothers invitarono nello studio di registrazione alcuni freak per ballare, cantare e fare rumori d’atmosfera alla musica che stavano suonando (interessante notare che tra queste persone fosse presente anche Terry Gilliam, futuro membro dei leggendari Monty Python). A quanto pare il produttore del disco, il professionalissimo Tom Wilson, si fece di acidi per poter entrare meglio nel mood della session. Parte di quella musica era stata scritta e testata in precedenza (il tema di “Help I’m A Rock” è sempre stato un punto solido nelle scalette dal vivo dei Mothers), ma molto di quanto accade musicalmente in “The Return of the Son of the Monster Magnet” è un’improvvisazione in studio sulla quale sono stati aggiunte sovraincisioni, elementi in vari speed e pesante editing, in modo da farlo sembrare un brano completo. In un’intervista alla stazione radio WDET di Detroit il 13 novembre 1967, pubblicata sul cofanetto “The Making of Freak Out“, Zappa stesso spiega in cosa consiste il brano.

The Return of the Son of the Monster Magnet

Il brano è una sorta di sfortunato incidente. A dire il vero, sono ancora abbastanza arrabbiato, perché la casa discografica non mi ha lasciato finire la composizione. Quella che sentite sul disco è solo la traccia ritmica, che è solo la fondazione base per la musica e che non è mai stata completata. Non riesco a credere che abbiano pubblicato un brano incompleto, ma l’hanno fatto, e un sacco di gente è venuta addirittura a dirmi quanto sia meraviglioso quel pezzo. Io penso che sia veramente schifoso, ma ad ogni modo, il ritmo consiste in un set di batterie. Avevamo l’intera stanza ricoperta di tutti i tipi di batteria e avevamo un centinaio di persone nella stanza che facevano qualsiasi tipo di rumore usando la batteria: sia picchiandola che in altri modi. Abbiamo registrato tutto questo, l’abbiamo editato e sovrapposto a questa base ritmica, includendo suoni di cose che cadevano sulle corde del piano facendo tutti quei tipi di rumori che si sentono. Tutto questo consiste nella prima parte della composizione. La seconda parte del brano è costruita principalmente su vocalizzi modificati elettronicamente, cambiando la velocità del nastro ed equalizzandole in maniera diversa.

A questo punto Zappa si lancia in una spiegazione molto tecnica di come abbiano fatto ad ottenere una voce che fosse allo stesso tempo squillante, grassa e soffocata, commentando che il processo non è molto diverso da quello che i Beatles hanno usato per la traccia vocale di “Tomorrow Never Knows” su Revolver.
L’intero brano occupa tutta la quarta facciata dell’album e dura in tutto 12 minuti e 17 secondi e, in un contesto radiofonico, suona sicuramente un po’ pesante da digerire. Per fortuna abbiamo in nostra salvezza il cofanetto già citato che ci offre una lunga sezione dedicata alle registrazioni di questo disco e che ci consente di capire un po’ di più la composizione. Le prime cinque tracce del terzo CD di “The Making of Freak Out” sono dedicate specificatamente alla realizzazione della prima parte del brano e si può sentire Frank Zappa condurre i freak in vari vocalizzi, e in seguito si sentono i tentativi dei vari freak di cercare di fare delle cose sensate avendo a disposizione vari tipi di percussioni.

Per quanto riguarda la seconda parte del brano, meglio ricorrere all’ascolto di un frammento pubblicato su “Freak Out!” stesso, curiosamente pubblicato al doppio della velocità e inserito in coda alla composizione. Una volta portato alla velocità normale, questo spezzone, in soli due minuti, ci dà un’ottima rappresentazione di cosa debba essere successo in quei momenti. Una curiosità: in questo pezzettino ad un certo punto si sente Zappa pronunciare distintamente la parola “fuck“. Pare che la causa di questa esclamazione sia stato un semplice incidente: mentre Frank stava tirando cose nelle corde del piano, il suo dito è rimasto incastrato su una corda, provocando l’educata esclamazione. Comunque sia, sebbene si trovi su disco al doppio della velocità, questa è l’unica profanità contenuta in tutto l’album.

Per quanto riguarda il resto della session essa è incentrata tutta sulla jam intorno al tema di “Help I’m A Rock“, e su alcuni canti acappella, che poi hanno costituito “It Can’t Happen Here” (originariamente parte di “Help I’m A Rock“).

The Making Of di “Freak Out!” – ultime battute

In una delle tracce del cofanetto “The Making of Freak Out” si può ascoltare una jam registrata la stessa sera senza nessun tipo di sovraincisione. Interessante notare come al termine dell’improvvisazione, Zappa inviti gli ospiti ad andarsene: devono finire di registrare alcune cose per il disco e finché non se ne vanno sprecano soldi perché stanno pagando lo studio a tempo. Ancora più importante: non toccate nessuno degli strumenti che trovate; non sono nostri!
Una traduzione un po’ esplicita dell’ultima frase pronunciata da Zappa è: “fate presto: lo studio ci sta costando una fortuna ogni minuto e dobbiamo finire in fretta; siamo ancora una band rock’n’roll low budget, e non abbiamo fatto un cazzo per sei settimane”. Nella traccia del cofanetto il nastro viene mandato in fast forward, ma le cose sembrano comunque durare abbastanza a lungo, segno che, dopotutto, quella session dev’essere veramente costata molto più di quanto Zappa sperava producesse.

In effetti, per campare, in quel periodo Frank Zappa ha dovuto scrivere e arrangiare brani anche per altra gente. Oltre a un singolo del cantante soul Tommy Flanders, Zappa scrisse e arrangiò i due lati del 45 giri di Burt Ward (il Robin di Batman e Robin) “Boy Wonder I Love You” e suonò e arrangiò un brano per un cantante rhythm’n’blues che il vostro umile estensore (Jacopo Muneratti) ha avuto l’onore di conoscere e contattare via internet: Bobby Jameson. Jameson, oltre a far arrivare qualche soldo nelle tasche di Zappa, gli fu anche utile a livello personale. La sua fidanzata, infatti, era Gail Sloatman, che il 21 settembre 1967 sarebbe diventata la signora Gail Zappa.

Tra marzo e giugno del 1966 il disco viene assemblato e completato. Inizialmente la sequenza su disco doveva essere questa:

Lato A: Wowie Zowie, You Didn’t Try To Call Me, Trouble Every Day, I Ain’t Got No Heart, How Could I Be Such A Fool?
Lato B: I’m Not Satisfied, Motherly Love, Who Are The Brain Police?, Anyway The Wind Blows, Hungry Freaks Daddy
Lato C: You’re Probably Wondering Why I’m Here, Go Cry On Somebody Else’s Shoulder, Help I’m A Rock (incl. It Can’t Happen Here)
Lato D: The Return of the Son of Monster Magnet (intitolata, Suzy Cream Cheese)

Making of “Freak Out!” – i problemi con la casa discografica

Il disco però viene rimandato, a causa di obiezioni della casa discografica. Per prima cosa, non andava bene il nome del gruppo. The Mothers era, infatti, l’abbreviativo di “motherfuckers“, traducibile come “figli di puttana”. Venne così aggiunto “of Invention“, dal celebre proverbio “Necessity is the mother of inventions“, (la necessità e la madre delle invenzioni). In secondo luogo, c’erano un paio di momenti, a detta della MGM, di dubbio gusto sulla seconda parte del disco. Non si tratta del “fuck” udibile a doppia velocità su “Monster Magnet“, bensì di due frasi contenute nella sezione finale di “It Can’t Happen Here“. Per prima cosa, la parola “psichedelico” fu tagliata di netto. La cosa può sembrare buffa, ma quella che nel 1967 era essenzialmente una parola usata per pubblicizzare un dato tipo di musica, nel 1966 veniva concepita come qualcosa che strizzava l’occhio alla liberalizzazione di droghe pesanti (accusa che suona ridicola se fatta verso Zappa, ma non va dimenticato che Frank non era ancora famoso in questo periodo, tantomeno la sua pesante battaglia contro qualsiasi tipo di droga).
Un’altra sezione che venne tagliata dal brano è la domanda che Zappa rivolge a Suzy Creamcheese (groupie immaginaria del gruppo): “siamo molto interessati a sapere qualcosa della tua crescita, da quando hai cominciato a bucarti“. La seconda parte della frase venne completamente eliminata, anche se Zappa giura che non si trattasse altro che di un’allusione ad un’iniezione di paraffina. Una versione non censurata di “It Can’t Happen Here” apparse solo nel 1969 nella compilationMothermania“.

Visto che, comunque, l’uscita del disco era rimandata, Zappa ne approfittò per riaggiustare in minima parte il disco, riarrangiando l’ordine e modificando leggermente alcuni brani. È infatti interessante notare che la versione di “Wowie Zowie” inclusa su questo primo master è leggermente diversa da quella uscita su disco.

Il 24 e il 25 luglio del 1966 finalmente c’è il primo ingaggio serio del gruppo: si tratta di fare da opening per il comico Lenny Bruce al Fillmore Auditiorium di San Francisco. Fortunatamente qualche frammento ci è pervenuto, proveniente da mixer. In questi spezzoni è possibile sentire Zappa tormentare il pubblico con qualche battuta provocatoria, ma la gente sembra prenderla bene e reagire positivamente. Anche Bill Graham resta favorevolmente impressionato dal gruppo, e negli anni successivi li chiamerà ben più di una volta.

FREAK  …. OUT!

Frank Zappa - Freak OutDue giorni dopo, il 27 giugno 1966, “Freak Out!” è ufficialmente nei negozi d’America. L’album vende discretamente, non eccelsamente, ma l’impatto culturale è enorme. Una benpensante dice addirittura in un numero del Detroit Free Press di “ringraziare il cielo la prossima volta che i Rolling Stones e i Beatles saranno in città perché questi Mothers of Invention sono mille volte peggio“. Una frase che li avrebbe destinati al successo, giusto?

Il disco esce in stereo e in mono. Interessante notare come, a differenza di molti artisti dell’epoca come Beatles, Rolling Stones e Beach Boys, Zappa veda la versione stereo come quella definitiva. La versione mono dell’album, differisce soltanto per il fatto che alcuni volumi sono leggermente sistemati in modo da non far saturare il disco (cosa che comunque si verifica lo stesso in un paio di sezioni di “Who Are The Brain Police?“) e il che, probabilmente, spiega perché questo particolare mixaggio del disco non sia mai stato più ristampato dopo il 1966. Vale la pena, comunque, segnalare almeno un brano dal disco in mono, perché il mixaggio risulta radicalmente diverso e molto più “vivo”. La canzone stessa è molto significativa: si tratta di “Trouble Every Day“, inizialmente intitolata “The Watts Riot Song“. Prima di tutto va ricordato che è stato questo brano a far scattare l’interesse del produttore Tom Wilson, che pensava di trovarsi di fronte una blues band bianca. In secondo luogo è il testo, totalmente privo di ironia, nel quale Zappa sputa veleno per 5 minuti di fila, quasi senza prendere respiro, sulla violenza razziale (“sapete gente” canta ad un certo punto “non sono nero, ma a volte vorrei poter dire che non sono bianco“), l’ingiustizia sociale e il giornalismo sensazionalista. Zappa scrisse questo brano nel 1965, dopo aver visto un notiziario sulla rivolta scoppiata nel quartiere di Watts (a Los Angeles) dall’11 al 17 agosto del 1965 che causò 34 morti, 1032 feriti, 3438 arresti e più di 40 milioni di dollari di danni. Lo stesso tema verrà trattato in maniera più violenta e canzonatoria nel brano “Plastic People” sul secondo album “Absolutely Free“.

Un altro brano significativo è “You’re Probably Wondering Why I’m Here“. In questa allegra canzoncina, Frank se la prende con i “perdigiorno giovanili” e con le mode dell’epoca, in modo scanzonato, ironico e provocatorio, con una leggera critica allo show business musicale (“ma forse dopotutto non dovrei essere io a dirvi queste cose, sono qua solo perché mi pagano per suonare“).

Nel luglio 1967, il disco viene pubblicato anche in Europa, ma come singolo. Vengono eliminati tre brani: “Go Cry On Somebody Else’s Shoulder“, “How Could I Be Such A Fool?” (che uscirà come 45 giri) e “Anyway the Wind Blows“, mentre “Trouble Every Day” viene tagliata fino a durare circa la metà. L’album doppio originale verrà finalmente reso disponibile (solamente in stereo) solo nel dicembre 1971. Ciononostante, l’influenza in Gran Bretagna sarà ancora più forte che in America. Il gruppo di rock psichedelico Teddy and His Patches fa uscire un 45 giri intitolato “Suzy Creamcheese” e ci sono varie congratulazioni da parte di Jimi Hendrix, The Rolling Stones, John Lennon e Paul McCartney. In particolare, McCartney pare avesse pensato proprio a “Freak Out!” come modello per la realizzazione dello splendido “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band“. L’influenza generale magari non si sente troppo nel prodotto finale, ma c’è almeno un brano in cui un rimando è nitido e cristallino: “Lovely Rita“. Si tratta dei cori di sottofondo, ottenuti tramite respiri affannosi usati come strumento ritmico, chiaramente una citazione a quelli di “Monster Magnet“. Lo stesso Zappa lo fece notare in un’intervista dell’estate 1967 con il DJ Matty Biberfeld per la radio WRVR di NYC, e lo apprezzò, complimentandosi col quartetto Liverpooliano.

Il dopo “Freak Out!”

Mothers of Invention - 1966A questo punto, i Mothers of Invention valutano seriamente la possibilità di registrare un secondo album. Zappa comincia a lavorare su del nuovo materiale o a rimodellarne del vecchio, e comincia a pensare seriamente a come poter fare evolvere il suo gruppo. Il primo cambio riguarda la batteria. Per quanto Jimmy Carl Black fosse un ottimo batterista r’n’b, il suo drumming era abbastanza limitante per le sezioni complete. Viene così aggiunto un secondo batterista (dopo qualche tentativo a vuoto verrà assunto definitivamente Billy Mundi). In più, viene licenziato il chitarrista ritmico Elliot Ingber (l’unico membro dei Mothers of Invention ad essere licenziato), perché la sua tendenza a sballarsi prima dei concerti spesso gli impediva addirittura di poter suonare in maniera coerente. Ingber viene sostituito da Jim Fielder, che è un po’ l’eroe sconosciuto dei Mothers: il chitarrista, infatti, che ha suonato nell’album e in qualche data del tour, viene spesso non ricordato tra i membri ufficiali del gruppo.
A completare la formazione, arrivano due nuovi futuri membri storici dei Mothers: Don Preston alla tastiere (che aveva già provato ad entrare prima delle registrazioni di “Freak Out!“, senza successo) e Bunk Gardner ai fiati. Con questa formazione, viene inciso lo splendido “Absolutely Free“, ottimo secondo album, ottima testimonianza del processo evolutivo continuo del gruppo. Le registrazioni di quel disco sono tutt’altra cosa, ma il brano “chiave” di quell’album “Brown Shoes Don’t Make It“, altra splendida critica sociale contro le brutture dell’America, che venne iniziato durante le session di “Freak Out!” (il che spiega la presenza di un’orchestra),  risultò così complesso da venire completato solo per il secondo album.

In conclusione: andate ad ascoltarvi “Freak Out!” dei Mothers of Invention.

Frank Zappa Mothers of Invention – “Freak Out!”

Band/Artista: Mothers of Invention
Album: “Freak Out”
Data Pubblicazione: 27 giugno 1966
Etichetta: Verve (poi Zappa Records, Ryko, ZFT)
Produzione: Tom Wilson, 8-12 marzo 1966 presso lo studio Sunset-Hollywood of TTG inc. Hollywood

TrackList – “Freak Out!”

Lato A
1-Hungry Freaks, Daddy
2-I Ain’t Got No Heart
3-Who Are the Brain Police?
4-Go Cry on Somebody Else’s Shoulder
5-Motherly Love
6-How Could I Be Such a Fool

Lato B
7-Wowie Zowie
8-You Didn’t Try yo Call Me
9-Any Way the Wind Blows
10-I’m Not Satisfied
11-You’re Probably Wondering Why I’m Here

Lato C
12-Trouble Every Day
13-Help I’m A Rock
(1 Okay to Tap Dance – 2 In Memoriam, Edgar Varese – 3 It Can’t Happen Here)

Lato D
14-The Return of the Son of Monster Magnet
(1 Ritual Dance of the Child-Killer – 2 Nulls Pretii No Commercial Potential)

Line Up – “Freak Out!”

The Mothers of Invention
• Frank Zappa: chitarra, voce
• Jimmy Carl Black: percussioni, batteria, voce
• Ray Collins: voce solista, armonica, cimbali a mano, tamburello, forcina, pinzette
• Roy Estrada: basso, guitarrón, voce soprana
• Elliot Ingber: chitarra solista e ritmica

Ospiti
• Gene Estes: percussioni
• Eugene Di Novi: piano
• Plas Johnson: sassofono, flauto
• John Rotella: clarinetto, sax
• David Anderle: violino
• Benjamin Barrett: violoncello
• Edwin V. Beach: violoncello
• Paul Bergstrom: violoncello
• Virgil Evans: tromba
• Kim Fowley: hypophone
• Carl Franzoni: voce
• Roy Caton: copista
• John Johnson: tuba
• Carol Kaye: chitarra a 12 corde
• Raymond Kelley: violoncello
• Arthur Maebe: corno, tuba
• George Price: corno
• Kurt Reher: violoncello
• Emmet Sargeant: violoncello
• Joseph Saxon: violoncello
• Neil LeVang: chitarra
• Dave Wells: trombone
• Kenneth Watson: percussioni
• Vito Paulekas: voce, percussioni

Ospiti non accreditati
• Jeannie Vassoir: voce di Suzy Creamcheese
• Motorhead Sherwood: rumori
• Paul Butterfield: voce
• Mac Rebennack: piano
• Les McCann: piano

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