Waht A Funk - FluoInterviste Nazionali 

What A Funk: intervista

Abbiamo avuto il piacere di scambiare due parole con i What a Funk?!, guerrieri del funk italiano partiti verso il “Nuovo Mondo”, per un viaggio alla scoperta e riscoperta del sound e della cultura che sono padre e madre del power trio di Reggio Emilia.
La band ci racconta la loro esperienza, la musica e l’improvvisazione. Continua a leggere…

Rock by Wild dà il benvenuto ai What A Funk?! nel Wild West!
La prima domanda “ve la siete posta da soli”: per una band italiana, what a funk (senza punto esclamativo)?

Hehe cosa succede quando fai funk? cosè? come si fa?
Son domande che fortunatamente abbiamo bypassato ascoltando band che sono funk e non fanno funk, quindi ti rispondiamo dicendo che sta tutto nell’attitudine… per esempio noi non facciamo vero funk, siamo sporchi grezzi e violenti con i nostri strumenti, ma pensiamo e respiriamo funk… e poi vuol dire puzza… ci si addice!
Il funk ti insegna a essere e non a fare… non è una cosa che si impara a scuola (cit.)

Il vostrofunk sembra pescare più dal funk metal moderno, con qualche accenno al funk rock degli anni ’70, e decisamente poco dal funk classico, soul e jazz degli anni ’60. E’ effettivamente così o non ho capito niente ascoltando i vostri brani?

Parte sicuramente da roba anni ’80/’90 più “funk metal” che ascoltavamo in adolescenza e che ci ha fatti avvicinare a tutto ciò che c’era prima… il crossover è il genere che unisce noi 3 elementi.
Ci piace molto il future funk americano di adesso… elettronica che campiona brani degli anni ’70 o pezzi di James Brown e ci aggiunge suoni modernissimi e synth.

Secondo voi ladisco ha fatto più bene o più male al funk?

Haha dipende dai punti di vista!
La disco invenzione “bianca” ha preso la purezza del ritmo funk unendola ai ritornelli in loop alla James Brown per farne una macchina da soldi super ballabile. A noi piace, ti fa muovere il culo! Dal lato purista l’ha rovinato… ma dal lato evoluzionistico, ci ha regalato l’house funk e ora il future funk… quindi ha fatto pure bene!!!

Che origine hanno i vostriNom De Plume?

Sarebbero i nostri moniker da palco?
Hasma è il secondo nome del bassista.
Boskovich abbreviato a Bosko e poi B è una lunga storia di famiglia del chitarrista… ma è un nome con cui è sempre stato chiamato.
Pretorius è il vero cognome di Pretorius, batterista italo/portoghese di origini sudafricane.

Ci raccontate del vostro viaggio dal profondo centro dell’Emilia al profondo ovest dell’America… Quando, e come, avete maturato questa decisione?

Era da un po’ che ponderavamo la nostra partenza verso la California… un po’ perché è la culla della nostra musica e un po’ perché volevamo esplorare il territorio e il mercato americano.
Ma poi imprevisti e tour ci hanno tenuti qui, assieme al fatto che volevamo andare pronti con un super album da proporre alle case discografiche. Volevamo partire con qualcosa di nuovo insomma…e quindi appena finite le registrazioni, siamo saliti su un aereo.

Quanto pensate che questa esperienza influenzerà i vostri futuri lavori?

Tantissimo!!! Abbiamo imparato tanto!
Jammando in strada e vivendo esperienze… perché anche solo visitare un posto ti cambia il modo di suonare, immaginati viverci per dei mesi…

Una volta giunti alla meta, oltre ad “improvvisare show live nella patria per eccellenza dei sogni“, siete riusciti anche a trovare degli ingaggi?

Arrivati negli USA, dopo esserci stabiliti, abbiamo iniziato a suonare con chiunque, dalla strada alle sale prove sotto casa… poi abbiamo trovato concerti per i What a Funk?! e nell’ultimo mese, quando abbiamo ricevuto il master finito del disco, abbiamo iniziato ad inviare il tutto alle etichette ammericane… abbiamo già qualche risposta, ma attendiamo altre offerte per poi decidere!

Potete dirci se è davvero più facile trovare ingaggi seri in America rispetto all’Europa? (molto probabilmente è più facile che nel nostro bel paese). Oppure è un mito che ci siamo inventati in Italia?

E’ un discorso vario… noi siamo andati negli USA facendo quello che abbiamo iniziato a fare 6 anni fa in Italia, cioè trovare concerti sapendo che non ci conosceva nessuno. E come qui, se ti fai il mazzo i concerti arrivano… non ci abbiamo trovato tanta differenza, la ricerca, è come in Europa, se hai un buon prodotto e ti proponi bene, fai vedere come sei live, mandi una bella bio e fai vedere che sai i fatto tuo, è fatta!
In italia siamo anche messi bene! I locali ci hanno sempre trattato molto bene, negli USA in certe venue ti trattano come la miliardesima band che suona lì e sono molto più distaccati e meno accomodanti dei colleghi italiani…
Quindi band italiane non lamentatevi e datevi da fare!!!
Parlando di ingaggi discografici è la stessa cosa… quindi credo sia un po’ un mito… ma al contrario.

Avete percepito curiosità, da parte del pubblico americano, per gli artisti italiani?

Gli americani amano gli italiani, siamo simpatici!!!
Molte volte però nessuno sapeva che fossimo italiani perché nelle locandine non sempre lo scrivevano. Il pubblico era perplesso i minuti prima dello show, (durante il cambio palco per esempio), vedendo tre ragazzi mingherlini a petto nudo e colorati di vernici fluorescenti… dopo lo show i presenti erano tutti entusiasti ed elettrizzati! Ci ha colpito molto perché pensavamo di non essere niente di nuovo per loro, ma erano colpiti dall’energia dello show e dalle esibizioni intense.

Parliamo dai vostri video. Sono ricchi di idee e anche ben realizzati. Quanto riuscite a portare, e quanto vorreste riuscire a portare, di queste idee sul palco?

Noi sul palco portiamo l’energia e la fluorescenza, il nostro punto di forza è sempre l’interpretazione e l’energia che mettiamo nell’eseguire pezzi! Sia il palco 5×5 o che sia il palco di un festival…
In alcuni live abbiamo delle posizioni seguite da uno dei nostri videomaker che rendono tutto molto più show, ma è una cosa che possiamo portare solo ad alcuni live perché richiede un costo di produzione alto!

Come sono state fino ad adesso le reazioni del pubblico americano ai vostri show? …. e quelle degli europei?

Identiche! La gente si prende bene perché oltre ad avere dei pezzi coinvolgenti, (sempre a seconda dei gusti musicali), viviamo letteralmente il pezzo quando lo suoniamo sul palco… live nel vero senso della parola, quindi se c’è da buttarsi per terra o farsi male, lo facciamo!
Non pensavamo che gli americani sarebbero stati così presi bene dalla nostra musica… abbiamo ricevuto mail e commenti identici a quelli dei nostri fan più accaniti italiani!!! Ci ha fatto strano.

Oltre ai Living Colour, con chi altri vi piacerebbe dividere il palco? Magari per una jam session!

Cazzarola, abbiamo diviso il palco con una band che ci piace molto che sono i Queens of The Stone Age al Rock in Idro dell’anno scorso e con loro ci piacerebbe molto jammare, negli USA eravamo in contatto con Thomas Pridgen, ma non siamo riusciti a beccarlo per suonare… vorremmo tornare presto a suonare con Joe Bowie perché la jam dell’anno scorso ci ha lasciato il segno… con altre band non saprei… i Mothers Cake certamente sono la band con cui forse ci divertiremmo di più tra quelle del panorama europeo…

Ci sono già delle collaborazioni nell’aria? Potete darci qualche anticipazione?

Nel disco ci sarà un brano in cui Joseph Bowie della storica band Defunkt suona il trombone.

Come vi dividete i compiti durante il processo creativo dei brani?

Parte tutto da delle improvvisazioni in salpare… e improvvisando arriviamo a finire il pezzo

C’è qualcuno che vi piacerebbe avere come ospite per un vostro brano? Chi?

Per il futuro… ci piacerebbe fare un pezzo con i The Floozies che seguiamo molto!!!

In “Sweet Home” sembra che i Primus incontrino i Tool (personalmente trovo l’incontro ben riuscito). E’ una cosa ricercata e voluta?

Grazie!
Nei nostri pezzi non c’è niente di voluto… è tutto lasciato al “caso” e al momento dell’improvvisazione… sicuramente sono due band che ci piacciono molto e che ci hanno sicuramente influenzato.

Da quale parte del mondo avete pescato e adattato i cori che si sentono in“Flush”? Lo strumento che si sente alla fine è un Didgeridoo ? Chi lo suona?

Quei cori sono qualcosa di indigeno, puoi vederli da dove vuoi, in realtà sono un tipo di coro che hanno tutte le civiltà. Sono cori sensibili alla propria terra, che sia America o Africa o Europa… sono cori da tribù di dove sei… il digiridoo lo suona Hasma (basso)

Il Proprio di Niente” è il primo pezzo cantato in italiano dopo 10 brani tutti in inglese, (spesso i gruppi italiani fanno esattamente il contrario). C’è un motivo per questa scelta?

Avevamo fatto un’audizione a un cantante molto bravo della nostra zona (Andrea Gordo Reverberi), ci piacciono molto i suoi progetti, (Lineaviola, ReGordo, Torafugu, Orka), ma essendo innamorati del suo cantato italiano e volendo restare una band che canta in inglese, appunto, per la nostra voglia di andare all’estero con la nostra musica, abbiamo scritto alcuni pezzi con lui, “Il Proprio Di Niente” è uno di essi e nella sessione del disco nuovo ne abbiamo registrato un secondo che però non sarà nel disco… (fin ora era top secret sta cosa!)

Potete indicarci 3 brani che per voi rappresentano al meglio la vostra musica e possano presentarvi a chi ancora non vi conosce?

Hehe… potete cercare alcuni brani che eseguiamo live da qualche tempo ormai, (“Draw It On The Wall” e “Baran” per esempio), che saranno presenti nel disco, ma per il resto dovrete aspettare il disco nuovo… siamo cambiati moltissimo dai dischi precedenti!!!
Ma andando ad ascoltare le improvvisazioni e le jam sul nostro canale youtube si può intravvedere il suono nuovo che era in incubazione nell’ultimo anno…

Trovate ci sia differenza tra un EP di circa 10 minuti ed un EP di circa 35 minuti? (Durata media di un fulllength album negli anni ’60 e negli anni ’80).

Dipende da tante cose! Dipende dal discorso presente nell’EP. Noi abbiamo tutti e 2 e con il nuovo disco avremo 13 brani per circa 50 min… dipende dal concept e dai pezzi… un ascolto breve ti lascia più fresco, ma a volte necessiti di più… come nel sesso… non vuol dire… ci sono prestazioni epiche di 10 minuti anche… no?
Quella era una limitazione data dal formato…

Nell’epoca del supporto virtuale secondo voi ha ancora senso ragionare in termini di album:long, extended, mini, single (lato A / Lato B)?

Dipende tutto dal concept… dal discorso di un album… lato a e lato b non esistono più… non possono più esistere! I singoli nemmeno… long, extended e mini si! (evitando la contrapposizione sessuale sta volta).

Javao“, vostro ultimo lavoro discografico, risale ormai al 2012. Riusciremo a sentire qualcosa di nuovo entro il 2015?

Dipende tutto dalle case discografiche. Ci siamo dati come termine per la decisione la fine dell’anno circa…

E cosa ci sarà dopo la costa ovest americana? L’Oceano Pacifico?

Haha stiamo pensando di trasferirci in California, ci siamo trovati molto bene, sia come scena che come possibilità per 3 musicisti di vivere la propria musica e la propria band… il top sarebbe girare tutto il mondo suonando.. speriamo di riuscirci con questo disco!!!

Per concludere in bellezza, potete inviare ai lettori di Rock by Wild un saluto allaWhat A Funk?!

Cercate di vivere come se foste sempre in un’improvvisazione!!!
E quindi Funk ‘em All!

Grazie mille per avere risposto alle nostre domande!

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