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Chi è il direttore artistico?

Dal momento in cui mi sono posta il problema di capire come funzionano le cose ho sempre immaginato il direttore artistico come colui (o colei) che si occupa della selezione degli artisti in base alla qualità della proposta musicale (o artistica in genere). Una persona competente, magari musicista a sua volta, capace di scovare il talento, a bassi livelli, e di valorizzarlo, ad alti livelli. Responsabilità tutt’altro che piccola quella di diventare un filtro tra le pressioni di vuole trovare una via d’accesso e le preferenze, a volte anche modaiole, del pubblico.

Con grande sorpresa invece sono stata smentita dalla realtà, almeno quella romana. Prima di tutto perché oggi la figura del direttore artistico si è un po’ sbiadita… sicuramente se ne trovano per eventi di grande portata, mentre sono quasi del tutto assenti nel panorama che chiamiamo underground.
Forse non ce n’era davvero bisogno perché alla fine scegliere una band da “buttare” lì sul palco è cosa alla portata di tutti. E sicuramente non ci sono neanche le possibilità economiche per sostenere un dipendente in più… e allora succede che il direttore artistico diventa una delle tante funzioni di un’altra figura, una figura di mera rappresentanza, un pr o non esiste proprio.

In linea generale potrei anche essere d’accordo, ogni singola motivazione diventa credibile e convincente se espressa da un punto di vista adatto. Il fatto è che non tutte le band sono uguali, non tutte le serate sono uguali, non tutto il pubblico è uguale e quindi strutturare una serie di eventi sulla base di una buona strategia di comunicazione, piuttosto che su fattori casuali, potrebbe essere la chiave per il successo. Dico potrebbe, perché le equazioni nell’arte non sempre sono esatte. Quel che è certo è “solo” l’aumento esponenziale delle probabilità di riuscita.

Non è un caso che direttori artistici, anche improvvisati, (e quindi loro malgrado), abbiamo saputo perseguire un discorso coerente e strutturato, rendendo questo o qual locale un punto di ritrovo; così come per festival, eventi ecc. Non è un caso, allo stesso modo, che realtà pur ben avviate abbiano perso velocemente credibilità e clientela nel momento in cui ha abbandonato il vecchio direttore artistico. Stesso discorso potrebbe essere fatto per etichette discografiche, programmi tv, radio e qualsiasi veicolo che si occupi di arte.

Oggi, nella maggior parte dei casi, vedo direttori artistici interessati a svoltare la singola serata oppure, e non so se sia meglio o peggio, direttori artistici che hanno completamente abbandonato la funzione di selezionatori, fintanto che il minestrone che propongono generi quantità. Posto, come detto, che il direttore artistico non necessariamente è figura separata dal titolare/gestore di un locale o di una attività, dal promoter, dal direttore di una radio o, più in generale, da chiunque fornisca servizi artistici.

Per aggiungere carne al fuoco, leggo su Wikipedia che “Nella fase di progettazione dell’evento, il direttore artistico deve valutare, oltre agli aspetti artistici, anche parametri economici e tecnici, procedendo ad un’autentica analisi di fattibilità“. Ora, per quanti errori si possano trovare su un’Enciclopedia on line, direi che possiamo prendere per buona questa frase. Allora siamo sempre lì: cercare di capire cosa fa crescere l’attività e scegliere il giusto orizzonte temporale. Per esempio se sto organizzando un festival sarò interessata a far funzionare la singola edizione, magari con un occhio già volto a quelle future. Se gestisco una web tv sarò interessato a costruire un buon seguito di fedelissimi e così via. L’obiettivo che voglio raggiungere dovrà sempre indicare la strada. E allora che senso ha una direzione artistica a casaccio, magari saltuaria, che si occupa solo di accorpare senza un criterio preciso? Il minestrone, appunto. Eppure qualche volta funziona lo stesso, almeno per chi i soldi li prende, ma non li mette. Alla fine della fiera, per citare un grande scrittore: “così è (se vi pare)“.

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